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Fu composta intorno al 470, per una vittoria col carro nei giuochi di Pito; ma piú che altro è ispirata alla proclamazione di Dinomene, figlio di Ierone, e signore d’Etna. Ed è insieme canto augurale per la nuova città, pervaso tutto dalla gloriosa memoria delle battaglie d’Imera e di Cuma.

Incomincia con una esaltazione alla cétera, cioè della musica, arte non ignota a Ierone (v. Olimpia I, v. 15-16); e conclude che essa spiace solo a quanti sono in odio a Giove: tra gli altri a Tifone, l’orrendo mostro seppellito da Giove sotto l’Etna (1-39).

Il nome dell’Etna, della nuova città, suonò ora nei ludi pitici, grazie a Ierone, che volle farsi proclamare etneo e non siracusano. Dal buon principio si può arguire il séguito: nuovi trionfi aspettano certo Etna: oh Febo, fa tu che cosí sia (42-55).

Auguri per Ierone. Possa ogni giorno recargli l’oblio delle pene passate, e il ricordo delle gloriose gesta compiute: d’Imera, innanzi tutto, e poi della recente impresa di Cuma, per la quale taluno che faceva il superbo dové, come un cagnolino, scodinzolargli dinanzi, chiedendo il suo aiuto. Sí che egli andò a questa guerra come a Troia Filottete. I compagni di Filottete, movendo a Troia, l’avevano abbandonato, per ché malato d’una fetida piaga causatagli dalla puntura d’un serpe, nella deserta isola di Lemno. Ma poi, se vollero pren-