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106 | LE ODI DI PINDARO |
III
Argo ei fuggendo e la furia civile, fuggendo il superbo
Anfïarào, da la casa paterna qui giunse; ed eletto
sovrano, con feste e con gare
d’uomini saldi e di cocchi politi, die’ lustro a Sicione:
poi che prostrati da lotta civile, i figliuoli di Tàlao
non piú regno avevano in Argo:
ché spesso il signor piú possente pon fine all’antico diritto.
IV
Anfïarao s’ebbe sposa di poi la vezzosa Erifíle,
suora d’Adrasto: fu pegno di pace; e allor furon supremi
signori dei Dànai biondi.
E contro Tebe settemplice l’esercito mossero un giorno,
senza favore d’auspici. Né Giove, scagliando la folgore,
quando essi furenti lasciarono
la patria, incorava l’impresa, bensí da la via li distolse.
V
Verso palese sciagura cosí s’affrettavan le schiere
con i corsieri ed i cocchi, con l’arme di bronzo; e sui rivi
d’Ismèno, mentre essi anelavano
il dolce ritorno, coi corpi il candido fumo fêr pingue.
Sette bruciavano roghi le giovani membra: il Croníde
ad Anfïarao sotto i piedi
la terra sprofonda col folgore, e lui coi cavalli inabissa,