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XIV | PREFAZIONE |
che alla personificazione sembrano addirittura refrattarie: le Corone, che reclamano un debito (O. III, 6), l’Oro, che ha mani per offrire una mercede (P. III, 55), una Freccia, che può essere nutricata.
E in questo processo, le personificazioni si svincolano tanto compiutamente dagli oggetti onde furono astratte, che agiscono verso quelli come verso cose materiali e passive. L’oro offre la mercede, cioè sé stesso (P. III, 55). Le calunnie portano denuncie, cioè calunnie (P. II, 76).
Simile a questo è l’altro processo onde cose astratte sono concepite come creature vegetali, oppure come sostanze concrete e tangibili. Ed anche qui si deve ripetere ciò che si disse delle personificazioni: che ogni altra poesia ed ogni altro linguaggio ha familiari simili processi; ma oramai resi anodini dall’uso. Diciamo anche noi che nel cuore di un uomo fiorisce la virtú; ma né al nostro spirito né a quello di chi ci ode balenano immagini di steli né di foglie né di corolle. Ma Pindaro le vede tanto, che parla di reciderle per farne un mazzo. Anche noi possiam dire che le promesse daranno buon frutto. Ma Pindaro le vede come germi, e come terriccio la verità; onde quelle vi cadono e vi giungono a maturazione.
E cosí per la concezione degli astratti sotto specie di sostanze materiali. Gli errori sono oggetti appesi dintorno alle menti degli uomini; il biasimo è un masso che minaccia le persone che lo meritano: il canto una nave fenicia: la vittoria qualche cosa come di fluido in cui si può immergersi e mescolarcisi. E anche qui, per seguire Pindaro, bisogna evocare nella mente i minuti particolari. Se dice che la sua ode ristora, egli la concepisce come una specifica bevanda gustata ai suoi tempi:
T’invio questo miele, che rorido spuma,
temprato di candido latte, canora
bevanda, fra spiri di flauti eolî.