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xii PREFAZIONE


Tutta la storia dei Numi, tutta la storia degli uomini, dalla origine divina all’attuale decadenza, e tutti gli arcani d’oltretomba, gli sono cògniti. Egli raccoglie con ardore instancabile, da ogni parte, dalle tradizioni popolari, dalle cerimonie dei culti, dalle rivelazioni dei misteri. Né è curiosità di erudito, né pazienza inerte di collezionista. Ma dei singoli fatti cerca le ragioni e le leggi dominatrici. E ne compone un sistema organico, che si può anche oggi ricostruire sulle reliquie, e che, se ci appare primitivo nel lato fisico, ingenuo nel metafisico, e nell’etico privo di sostanziale originalità, documenta però in complesso lo sforzo continuo che Pindaro esercitò sempre per disciplinare nel suo spirito e dominare quella materia pel suo tempo immensa.

Ora, questa sua predilezione lo rendeva singolarmente disposto a comporre epinicî. Il genere stesso, come è stato detto cento volte, imponeva divagazioni mitico-storiche. Quindi, al poeta d’epinicî occorreva un bagaglio di cognizioni. E facile era procurarselo; ma facile era anche poi che quella materia, assorbita per dovere professionale, rimanesse nella trattazione non elaborata, e quindi fredda e meccanica; come avviene negli epinicî, pur graziosissimi, di Bacchilide. Ma in Pindaro l’obbligo professionale coincide col profondo interesse spontaneo. La materia che l’epinicio esigeva era pronta sempre nello spirito del poeta, ed elaborata da un travaglio filosofico che ne rendeva ogni parte agile e ricca e piena di fermento. E cosí avviene che le scene mitiche di Pindaro non sono descrizioni, intimamente gelide, anche se nitide ed appariscenti, bensí appassionate evocazioni e risurrezioni. Cosí avviene che le sue sentenze non sono stanche ripetizioni di pedagogo. I fatti nuovamente risorgono nella fantasia del poeta: egli assiste inebriato o esterrefatto alla loro vicenda, e nota le leggi che li governano, e le bandisce con accento di profeta apollineo. Che importa se la loro essenza sia già cognita? Germo-