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Questa ode meravigliosa fu composta, come vedemmo, nel 476, dopo l’Olimpia III, quando per Terone il cielo cominciava ad intorbidarsi per l’intervento che dové prendere in favore del genero suo Polizelo (v. pag. 17). Ad intenderne gli accenni, conviene rievocare nella loro successione cronologica le avventure, qui ricordate, delle genti cadmee.

Cadmo, il fenicio mitico fondatore di Tebe, ebbe quattro figlie e due figliuoli. Tutti incontrarono tragica sorte; qui basta ricordare Semele, Ino, Polidoro.

La prima era amata da Giove, che si recava da lei in sembianze umane. Giunone, gelosa, la indusse a chiedere all’amante celeste di mostrarsi in tutto il suo fulgore. Giove la esaudí; ma il vampo della folgore celeste da lui brandita ridusse in cenere la giovine. Il Nume sottrasse vivo, dal morto alvo materno, il bimbo da lei concepito, che fu poi Diòniso, il dio cinto d’ellera del vino e dell’ebbrezza. Semele fu assunta anch’essa in Olimpo.

Ino, poi che il suo sposo Atamante le ebbe ucciso il figlio Learco, prese in braccio l’altro figlio, Melìcerte, e si precipitò seco in mare. Ambedue divennero divinità del pelago benevole ai nocchieri.

Da Polidoro nacque Labdaco, da cui discesero Labdo, e il fatale Edipo. I due figli d’Edipo, Eteocle e Polinice, si uccisero in duello reciprocamente; ma sopravvisse, a continuar