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A sipario calato, il capocomico parla della commedia caduta, e ne parla con grandissima tranquillità di coscienza, perchè i capicomici, su per giù, sono come i medici e i chirurghi: ragionano su i cadaveri, ma non si commuovono mai.
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L’autore esordiente o novellino, mirando, com’è naturale, a dare la sua prima commedia a una buona compagnia, e studiandosi, com’è naturalissimo, di scansare per quanto è possibile un rifiuto, si provvede di una eloquente lettera di presentazione per qualche capocomico di quelli di prima categoria, o, in altri termini, di quelli che fanno buoni affari.
Il capocomico, per riguardo alla lettera di presentazione, non potendo far altro, si rassegna a prendere il copione; ma lo prende con quel sorriso ineffabile di compiacenza, col quale prenderebbe una cambiale scaduta o un foglio falso di Banca.
Preso il copione, promette, sbadigliando fino agli orecchi, di dare il suo responso di benestare fra una quindicina o una ventina di giorni.
Venti giorni sono lunghi; ma finalmente passano: ed ecco il povero autore, che col viso acceso e colle mani gelate, si presenta nel camerino del capocomico, per sentire il suo verdetto di vita o di morte.
— Si accomodi! — gli dice il capocomico con quella buona grazia, con cui si direbbe a un cane importuno «va’ a cuccia!».