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Lasciato l’amico, il nostro autore novellino va subito in cerca di un capocomico.

I capicomici, in generale, sono persone intelligentissime, o almeno se lo figurano: lo che per essi torna tutt’uno.

Non c’è capocomico, pur modesto che sia, che non la pretenda a profeta e che non abbia la presunzione d’indovinare, alla semplice lettura, se l’esito di una commedia sarà felice o disgraziato.

E invece!...

Quando un capocomico, dopo aver letto e accettato il vostro lavoro, vi piglia per la mano e vi dice con accento profetico: — «questo è un successo sicuro! glielo dico io, e basta!» — voi potete contare che, novantanove su cento, il vostro fiasco comincia fin da quel momento a spuntare sull’orizzonte. Si direbbe quasi che la Provvidenza divina si diverte a punire l’orgoglio di questi falsi profeti sulle spalle innocenti dei poveri autori. La Bibbia si riproduce: è sempre il povero Egitto che paga le spese della cocciuta superbia de’ suoi Faraoni.

I capicomici si dividono in due categorie: in capicomici, che fanno buoni affari (l’arte teatrale in Italia si serve sempre del dialetto dei bottegai) e in capicomici che fanno cattivi affari.

Il capocomico che fa buoni affari sta, per il solito, sulle sue. È sofistico e di difficile conten-