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Chi è quell’analfabeta, in Italia, che non sappia scrivere una commedia? Chi è quel galantuomo fra noi, che possa chiudere gli occhi nel bacio del Signore, senza il rimorso di aver commesso un peccato mortale in quattro o cinque atti?


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Appena lo scrittore drammatico ha finito di mettere insieme il suo primo lavoro, lo ricopia subito sur un bel quaderno di carta rigata, e scrive sulla copertina il titolo della commedia; per esempio: Amore e Morte, commedia in cinque atti di me Nespolino Citrulli.

Quella furia di metterci sopra il nome e il casato si direbbe quasi che è la paura di vedersi rubare la paternità del neonato.

Se lo scrittore è figlio di famiglia, chiama a raccolta per una data sera tutta la parentela, invitandola a sentire la lettura del primo tentativo teatrale.

Posto che il lavoro sia di genere serio, drammatico, affettuoso e sentimentale, allora tutta la famiglia sbadiglia e piange. Peraltro, facendo a fin di lettura un po’ di bilancio, si verrebbe a vedere che gli sbadigli sono stati più delle lacrime. Ma in famiglia c’è questo di buono, che gli sbadigli non si contano.

Se poi il lavoro, per dir come si dice, è di genere brillante, in questo caso la scena è tutta diversa.