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di fiori, accadono dialoghi, che parrebbero inventati, se non fossero veri e ricopiati sul posto. Ecco farsi largo una donnina ancora giovine e abbrunata con molta civetteria, la quale dice al fioraio:
— Vorrei una corona di zolfini, con l’iscrizione: A mio marito.
— Terminati i mariti! — risponde il fioraio nel suo laconismo mercantile — l’ultimo marito l’ho venduto in questo momento. Non mi restano che poche mogli e qualche fidanzato. Vuole invece una corona per mio figlio?
— Dei figli, graziaddio, non ne ho mai fatti e spero bene.
— Pazienza!... sarà per un’altra volta — replica il fioraio, continuando tutto affaccendato a servire i suoi numerosi avventori.
Eppure è così. I grandi dolori di famiglia, tolti alla discreta penombra delle pareti domestiche e portati a spasso sulla pubblica via, perdono la mesta solennità del loro carattere e diventano tante feste profane, e qualche volta, Dio ci liberi tutti, anche carnevalesche.
Il giorno dei morti è là per farne fede!
In quel giorno, per il solito, i cimiteri sono invasi e quasi presi d’assalto da un volgo anonimo, che non ha parenti.... perchè i parenti vivi forse gli son morti, e quelli morti l’ha già dimenticati da un pezzo. Questo volgo, che non soffre nè di malinconia nè di stivali stretti, corre sempre dappertutto, dove c’è folla: e si diverte a tutto. Chiamatelo a scegliere fra due spetta-