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sua strada, che bada ai suoi interessi e non si mischia punto negli interessi degli altri: nemmeno di quelli del suo paese e del suo collegio. È, insomma, uno di quei deputati, come ce n’è tanti nel nostro Parlamento.

Andò a Roma il giorno dell’apertura solenne della sessione e prestò il suo bravo giuramento con molte disinvoltura; perchè il mio onorevole amico, quando si tratta di prestare, presta più volentieri cento giuramenti, che cento lire (per intendere questa squisita delicatezza d’animo, bisogna aver prestato cento lire, senza la speranza di riaverle).

Ma la sera stessa di quel giorno, ripartì colla strada ferrata per tornarsene subito a casa sua, perchè egli crede e ha creduto sempre che il primo dovere di un buon rappresentante della nazione sia quello di dormire ogni sera nel proprio letto.

Probabilmente ritornerà a Roma una seconda volta verso la metà d’agosto; e se in quel tempo la Camera sarà in vacanza, tanto peggio per lei. Basta al mio onorevole amico di poter dire agli elettori: — Il mio dovere l’ho fatto, e la mia coscienza è tranquilla! —

Del resto, nulla di più naturale.

Se lo domandate a me, «il Deputato che non va alla Camera» m’è parso sempre il vero tipo del Deputato indigeno, nostrale, prettamente italiano.

Perchè è bene ricordarselo: l’Italia è la Terra promessa della fiaccona. Qui non germogliano le