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amici che egli aveva portato seco, che uggiosi, che irrequieti, che brontoloni! Arrivati in casa della sposa, non trovarono nulla di fatto bene!

La casa era troppo stretta, le scale troppo alte, le finestre troppo larghe, la facciata troppo nera, l’arrosto troppo cotto, lo stufatino troppo crudo, il vino troppo caro, il dialetto troppo fiorentino: insomma, un piagnisteo continuo dalla mattina alla sera.

Allora il nuovo marito disse alla moglie:

— Sii bonina e fa’ di tutto per contentarmeli, questi poveri malati di fegato!

— Contentiamoli pure; ma dopo, chi paga le spese?

— Se non c’è altri, pagherò io. —

Detto fatto, Firenze chiamò subito uno sciame di manifattori e pose mano a un’infinità di lavori.

Quand’ecco che una bella mattina, il marito, svegliandosi, disse di punto in bianco alla moglie:

— Sai la notizia? domani vado a metter casa a Roma.

— A Roma? vien via, grullo, — rispose la moglie, — o che estro è codesto?

Oportet! — rispose il marito (quel briccone, quando voleva imbrogliare la moglie, parlava sempre in latino).

— E i debiti che ho fatto?

— Quant’hai speso? —

La moglie, invece di fare un conto per bene, buttò là una cifra a caso, che il marito pagò subito e con buonissima maniera; e poi se ne andò.