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gate, senza che nessuno arrivasse mai a poterne indicare con precisione il nome dell’autore: lampi spontanei e collettivi dell’antico spirito fiorentino.

Il Caffè del Bottegone lo chiamavano così, forse perchè a quei tempi pareva un Caffè molto grande. Nelle ore della mattina, questo Caffè poteva dirsi una specie di stabilimento balneario privilegiato, dove gl’impiegati in riposo e i Canonici di Duomo venivano regolarmente a prendere un bagno di cioccolata coi crostini imburrati.

Nelle ore poi della sera, e segnatamente nelle serate caldissime della canicola, il Bottegone, colle sue panche fuori del Caffè, diventava la Svizzera dei fiorentini. Tornando dalla passeggiata delle Cascine, i fiorentini vi si affollavano stanchi, assetati, madidi di sudore; e con la tenue spesa di quattordici centesimi avevano diritto a una mezza porzione di gelato di crema o pistacchio e una porzione intera di quel frescolino vivificante che, a notte fatta, si divertiva per il solito ad aleggiare intorno ai fianchi ciclopici della Cattedrale d’Arnolfo.


Caffè dell’Elvetichino.


Accanto al Bottegone stava di casa il Caffè del piccolo Elvetico, detto comunemente l’Elvetichino: Caffè che, ai suoi tempi, ebbe una gran nomea pari a quella del Caffè Pedrocchi di Padova e del Caffè Florian, sotto le Procuratie di Venezia.