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— Ti posso dare un piede. Se mi chino per darti una mano, non mi rizzo più neanch’io.
— Allora fammi un piacere: raccattami il sigaro, che m’è cascato là nel rigagnolo, e mettimelo in bocca.
— (raccattando il sigaro). Da’ retta: gli è cascato nel fradicio.
— Nel fradicio?... che rob’ella?
— Mi pare, all’odore che la sia la saponata del parrucchiere qui di faccia. Che te ne giovi?
— Sicuro, eh! Anche la saponata l’è una creatura di Dio, ne convieni? (sdraiandosi supino sul lastrico). Guarda come gli è bello il cielo del firmamento! Vedi Pistagna: tu potresti metterti a sedere costa sul marciapiede, e raccontarmi la storia dell’altra sera, quando andasti al teatro. Dimmi, tu sarai andato in lubbione, eh?
— In lubbione! To’ madre misera! Io per tu’ regola, quando vado al teatro, vado sempre in platea, come fanno i signori.
— Vien via; ma ti pajon musi codesti da rigirarsi due lire per andare alla musica?
— Già si comincia a dire che al teatro Pagliano io non spendo nulla.
— O com’è che tu passi a scapaccione?
— Gli è più di venti anni che sono amico del Professore.
— Di chi Professore?
— Gua’: di Pagliano, di quello del siroppo.
— O perchè tu eri amico?
— Perchè quando facevo il parrucchiere, lo servivo io.