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Raffaello. — — C’è poco da ridere.
(Tutti ridono più forte).
Maestro. — Monelli, facciano silenzio, o se no...
Carlino. — Farò sgombrare le tribune.
Maestro. (voltandosi). — Si cheti lei!
Carlino. — Che ho detto qualche cosa di male?
Maestro. — Come c’entrano qui le tribune?
Carlino. — Dicono così anche alla Camera.
Maestro. — Ma qui non siamo alla Camera.
Carlino (da sè). — Bada lì! ci scatterà dimolto.
Maestro. (a Orazio e Raffaello). — Sentiamo dunque quale è stata la cagione del litigio.
Orazio. — Il primo gli è stato lui!
Raffaello. — Nossignore, gli è stato lui!
Orazio. — Giuralo, se t’ha core!
Raffaello. — Giurare, gli è da monelli! L’uomo onesto giura, eppoi fa quel che gli pare; non è vero, signor maestro?
Orazio. — Sei stato tu il primo a insultarmi.
Raffaello. — Io?...
Orazio. — Sissignore! Tu m’hai dato di pagnottista.
Raffaello. — Bella forza! Tu se’ figliuolo di un fornaio!
Orazio. — Che credi di offendermi? I fornai prima che inventassero l’Italia, erano un’Arte bianca; non è vero, signor maestro?
Leonzio (mettendo bocca nel diverbio). — Sì, sì: un rompicollo come Raffaello, per mettere i Soprannomi, non c’è l’eguale.
Giuggiolino (piagnucolando). — Anche a me mi chiama Pareggio!