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morto; oppure reagisce rabbiosamente e grida come un ossesso che sono quei cani dei comici che gli hanno assassinata la commedia.

Dall’altra parte, il capocomico rientra nel suo camerino e borbotta a voce alta:

— Accidenti alle commedie nuove e a quei buffoni che vogliono il risorgimento del teatro italiano! —

*

Intanto gli amici dell’autore, non potendo reggere alla piena della loro contentezza, corrono sul palcoscenico per consolare (dicono essi) il povero amico.

E lì, uno dopo l’altro, adoperano diversi modi per esprimere comicamente il loro falsissimo dolore.

C’è l’amico che gli stringe la mano con espressione, ma non gli dice una sola parola: gli dà un’occhiata lunga e dolorosa e se ne va via.

Un altro gli sussurra nell’orecchio:

— La commedia è bella! ma te l’hanno straziata. Sono una fitta di cani. —

Un terzo dice:

— Il lavoro è bellissimo; ma non poteva piacere. Troppo nojoso. —

Un quarto soggiunge:

— Non poteva finir bene! Avevi in teatro troppi nemici: fischiavano tutti come biacchi! Figurati che ho visto fischiare perfino il Questore!... —