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dovettero piuttosto acuirgli il primo, che il secondo sentimento. Certo, in questo suo impasto c’è di molta originalità: non è pili Ovidio, né Andrea Cappellano, né sono i poeti provenzali: è lui, Dante da Maiano.

Volete ascoltarlo ed ammirarlo? Una bella creatura mi regalò, col migliore dei suoi sorrisi, una ghirlanda di verdi fronde, poi d’un tratto parvemi di esser vestito della sua stessa camicia. Allora, fatto audace, la presi ad abbracciare mentre ella, anziché difendersi, rideva, e a baciare di tutto cuore. Chi volesse saperne di più ricordi che son vincolato, con giuramento, al silenzio.

Ora, la terzina finale, espressi questi ultimi chiari pensieri, si chiude con un verso, che si può variamente interpretare:

Cosi, ridendo, molto la basciai.

Del più non dico, chó mi fé’ giurare e morta che mia madre era con ella.


oppure:

Cosi, ridendo, molto la basciai.

Del più non dico, che mi fé’ giurare.

È morta? che mia madre era con ella.




dalla ristampa del ’32. Delle rimanenti, antiche e moderne, non mette conto parlare, giacché tutte, o per distrazione del proto, o per ignoranza del raccoglitore, rispetto alla prima sono difettose. Il Valeriani pubblica la corrispondenza (II, 499-502) tralasciando il sonetto di Dante e attribuendo quello di Chiaro Davanzati a Lapo Saltarelli (II, 437). Che pensare di questa divergenza d’attribuzione? Non risulta che il Valeriani abbia conosciuto dei nostri testi un codice e tanto meno un’edizione diversa dalla Giuntina, che riproduce in tutto, salvo, beninteso, i soliti disgraziatissimi concieri. La ragione sta in questo: egli ritenne assai più antica che in realtà non sia la produzione poetica del Davanzati, cui assegna la data 1250 (II, 44), mentre s. a. 1300 pone quella del Maianese (II, 438); per salvarsi dalla manifesta contraddizione cronologica, non esitò a commettere un deplorevole errore.