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che importanza, gli altri due, estranei alla vita pubblica, non sopravvivevano che in pochi, o in pochissimi, documenti privati, salvati per miracolo.

Intanto che l’Archivio mi porgeva questi incitamenti, raccogliendo materiali per una bibliografìa delle nostre antiche rime volgari, ebbi a persuadermi che un altro punto della Giuntina, e tra i più controversi, doveva esser ripreso con nuovi criteri. Si condannava a occhi chiusi tutta una serie di sonetti che questo libro attribuisce a Guittone d’Arezzo. Orbene: parecchi di essi ritrovansi in manoscritti di gran lunga anteriori alla Giuntina, manoscritti che certamente non furon conosciuti dai compilatori del prezioso volumetto.

Il problema andava dunque spostato, esclusa la falsificazione.

Anche ammettendo la buona fede dei Giunti, mancandoci le loro fonti, sia pei sonetti del Maianese, sia per la Tenzone che qui si studia, sia per quelli di Guittone, ecc., rimaneva ancor sempre un grave dubbio: queste fonti, oggidì perdute, in quale forma sopravvivono nella Giuntina? conveniva quindi, valendosi d’una fonte diretta e indubbia, sorprendere i Giunti al lavoro. Ed essi mi risultarono, pur fra incertezze e traviamenti, abbastanza fedeli, anzi più che in generale non fossero gli Editori del ’500, e fedeli sebbene avessero innanzi un codice in condizioni deplorevoli, perché scritto da un amanuense non solamente ignorante (e ciò non farebbe danno), ma eziandio fantastico.

Altrove le questioni s’erano venute ingarbu-