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talvolta su pagine di libri, che ci dicevano di pagare al portatore la somma scritta, e un giorno in cui egli non aveva né carta per scrivere nè denaro egli rientrò in casa senza scarpe perchè le aveva date ad un povero. La sua carità si estendeva sino agli animali: se per via egli incontrava un pescatore, gli comperava il paniere di gamberi per rigettarli nel Tamigi.

In altri queste cose sembrerebbero della posa, ma le anime come Shelley sono oltre il sospetto.

Shelley sosteneva che il male non esiste nell’uomo che in quanto egli lo vuole; sosteneva che l’uomo, evolvendosi, sarebbe riuscito a cacciarlo dalla psiche umana, e, come sempre, uniformava la sua teoria alla sua vita. E per quanto breve questa sia stata, noi non possiamo qui nemmeno riassumerla: ma qualunque dissenzione filosofica o politica si possa avere con lui, non possiamo fare a meno se di cuore sinceri di ammirarlo ed amarlo.

Sia che egli proclami coraggiosamente le sue teorie filosofiche e sociali, sia che egli passi sopra i pregiudizi di sangue e di casta, sia che sacrifichi il suo benessere alle sue idee, sia che soccorra i poveri, sia che vada in Irlanda a sostenere la causa della libertà, sia infine che egli canti i canti più puri ed alati di tutta la lirica inglese, Shelley è tale che non può non percuotere di ammirazione l’anima nostra.

La morte:

Nessuno come Shelley fece mai tanto vero il verso di Menandro che il povero Leopardi metteva a motto di una delle sue più sconfor tate canzoni: «Muor giovine colui che al cielo è caro».

E se la vita di Shelley ci appassiona ed attira come tutto quello che appartiene al genio ed alla bontà, la sua morte interessa particolarmente noi italiani per i luoghi e le circostanze in cui si svolse.

Le quali circostanze, che hanno la poetica terribilità di un dramma, sarebbero state forse dimenticate ove gli ammiratori di lui - ed oramai sono legione anche in Italia - non ne avessero con sottile ed amorosa opera di pazienza ricercato ogni particolare.

Un episodio della giovinezza di Shelley non può fare a meno di tornare alla mente, leggendo della sua tragica fine. Il Dowden racconta che Shelley, giovinetto, se ne stava per ore ed ore costruendo delle piccole barchette di carta, di quelle che i bambini sanno fare, e gioiva a veder poi correre correre giù giù e perdersi. per il largo stagno brumoso della Valle di Health, la sua candida, piccola flottiglia. Forse da questo puerile divertimento sbocciò allora nell’animo del poeta quella passione per il mare che doveva essere la tragedia della sua vita.

Nel 1° di maggio del 1822, Shelley, dopo un lungo girovagare per l’Italia, era venuto a stabilirsi a San Terenzo, nel golfo lunato della Spezia, uno de’ più vari, de’ più ridenti, di tutta la terra.

Shelley aveva allora ventinove anni, ma ne dimostrava appena venti. Era un giovine alto, stranamente flessibile sulla vita, dal sorriso e gli occhi ingenui e pensosi ad un tempo, mite e modesto come una fanciulla, imbarazzato negli atti e nel dire. Nessuno, vedendolo, avrebbe mai presupposto in lui il satanico autore della Necessità dell’ateismo, della Refutazione del deismo, della michelangiolesca concezione del Prometeo liberato, l’uomo che firmava nell’albo della certosa di Montevert, in Isvizzera:

uno di quegli uomini, insomma, che portano nella loro testa una mina per l’ordine sociale del loro tempo.

A San Terenzo, dunque, col 1° maggio del 1822 egli prese in affitto una casa il cui portico si apriva immediato sul mare, tanto che quando le onde del golfo erano irritate venivano a rompersi contro di essa e l’investivano quasi sino al primo piano abitato.

«Più nave, che casa», la chiama Paolo Mantegazza. Erano con Shelley la moglie Mary - che fu il vero rifugio dell’anima sua dopo che la prima l’ebbe abbandonato e tradito prima di suicidarsi ed erano anche con lui l’amico carissimo Williams e la moglie Jane. Il Byron con la Guiccioli e Pietro Gamba, e il Trelawny e il capitano Roberts, tutti in quel tempo residenti a Pisa insieme o in continua frequenza col poeta di Don Juan, erano da principio d’accordo di far parte della villeggiatura con lo Shelley e il Williams. Ma l’altezzoso modo di fare, la condotta di lord Byron e soprattutto la maniera con cui aveva trattato la sua povera parente ed ex-amante Clara Clermont e il frutto di questo amore, la figliuoletta Allegra, rinchiusa e