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u le rassegne straniere è stata in quest’anno una insolita fioritura di studii circa i rapporti tra l’estetica e la morale. Dallo Schiller in poi se n’è fatto un gran discorrere; il poeta nelle sue lettere su l’educazione estetica, fiorite, come è risaputo dall’entusiasmo per la rivoluzione francese e dalla penetrazione dello spirito greco, ha scritto un delizioso trattatello che meriterebbe ancora di esser più letto e pregiato di quanto non sia. Taluni degli scrittori di saggi da me accennati sembrano ignorarne l’esistenza; altri debbono averlo letto ma dimenticarono di citarlo.

Può dirsi che tutto lo scritto si aggiri tra il noto aforisma del Rousseau: «Si c’est la raison qui fait l’homme c’est le sentiment qui le conduit» e l’affermazione che la integrità del carattere, la prima delle morali possibilità, sia stata posseduta da un popolo solo: dai greci.

Ed il poeta che, nel frattempo, meditando il maggiore scritto kantiano si era sentita la capacità di rivolger le sue considerazioni non all’uno o all’altro dei generi letterarii artistici, ma allo studio di problemi più alti e generali, tratta il bellissimo tema con profondità e acutezza, cosi da formare un indice prezioso per quel momento storico in cui si agitavano tanti altri problemi di gravità eccezionale in politica e sociologia. Ma come risultati pratici lo studio schilleriano non giovò gran fatto. Occorreva un altro momento.

Al tempo dei neo-classici, le idee in proposito, drappeggiate in frasi giordaniane, come giovani corpi di statue nelle rigide pieghe geometricamente segnate, si saranno solennemente svolte in una dissertazione intitolata: «Del Bello in relazione al Buono». Forse la dissertazione esiste in qualche cartella di miscellanea sotto la polvere d’una biblioteca e l’ha pronunziata, scuotendo il tabacco dalla cravatta a triplice giro, un accademico in lungo soprabito... Ma, prima che l’Accademia prendesse una risoluzione, è venuto Ruskin; ha mosso lievemente le labbra, mentre si animavano le pupille di luce serena ed ha pronunziato il motto: A thing of beauty... una cosa di bellezza è una gioia per l’eternità. E sembrato che questo tripudio dovesse o potesse disgiungersi dalla morale, che l’estetica potesse o dovesse avversar l’etica, che gli esteti chiusi nel lor sogno di bellezza o si staccassero dalla vita o diventassero quei delinquenti di cui troppi romanzi e troppi drammi ci hanno delineato il ritratto.