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dei personaggi e una non meno precisa e coerente estrinsecazione verbale possono disporre al convincimento e quindi alla commozione il suo animo non più facile ad accogliere ciò che altri ha pensato, ha sentito, ha voluto, ha creato. E, difatti, questa coordinazione e questa correlazione matematiche e l’adeguato complemento fonetico della parola diventata più succosa, più esatta, più strettamente congiunta al pensiero, ai nervi, alla sostanza del personaggio, più impregnata di linfa umana formano una caratteristica precipua della migliore arte scenica modernissima e hanno eliminati i fronzoli, i riempitivi, le tergiversazioni, le macchinazioni arbitrarie non lasciando sul palcoscenico che tutto quanto è significativo come espressione individuale d’un personaggio o come coloritura d’un ambiente o come segno suggestivo di qualcosa che sia nell’aria o come proiezione d’una idea.

Un’altra caratteristica della migliore arte scenica moderna, un altro elemento estetico, che del resto comprende in certo modo anche quello cui ho accennato, è l’armonia sintetica dei quadri scenici. Essa risponde all’esigenza del pubblico intollerante perfino della vuotaggine d’un minuto e lo distacca bene, altresì, dalla confusione vertiginosa e dalle agglomerate visioni del colossale spettacolo quotidiano. Quale che sia il contenuto d’una commedia, d’un dramma, d’una tragedia, si può distribuire - e si distribuisce, invero, dagli autori più nobili in quadri sinteticamente armonici. I greci erano maestri in questa distribuzione. Tutti gli autori innamorati del classicismo greco ne furono imitatori. Parecchi altri, a traverso i secoli, ritentarono il metodo della distribuzione in quadri non frammentari, ma non conobbero sempre la stringatezza della sintesi e non sempre ebbero il culto dell’armonia classica. E il genio fiero, prorompente e ribelle di Guglielmo Shakespeare e la genialità sbrigliata degli italici improvvisatori della «commedia dell’arte scorrazzarono senza freni di sorta, in magnifico disordine, dovunque l’estro apriva il varco alla gloria. Ma il fastigio del teatro francese dei secoli decimottavo e decimonono e la fresca onda benefica della gaiezza goldoniana ripristinarono stabilmente l’euritmia dell’arte scenica, ed oggi un’estrema raffinatezza di tecnica si va rivelando nel taglio degli atti e delle scene, nel chiudere come in una cornice le parti salienti d’una commedia, d’un dramma, d’una tragedia, nel proporzionare l’episodio alla azione principale, nel prospettare i vari piani del quadro proprio come per ottenere un risultato pittorico e nel dare al personaggio quasi un rilievo plastico rispondente al suo valore umano. Tutto questo è armonia ed è sintesi - ed è, evidentemente, bellezza.

Astrazion fatta dalla potenzialità degli autori che vivono o che nascono oggi, è innegabile che l’arte della scena, praticata così, è composta da elementi estetici che hanno uno spiccato carattere di modernità in quanto sono richiesti dallo stato d’animo del pubblico simboleggiante l’epoca nostra come efficaci mezzi di trasmissione del sentimento che è racchiuso nell’opera artistica. Ogni altra indicazione di estetica della scena è vana. Se il contenuto d’una concezione scenica non può essere espresso che con l’enfasi, con la magniloquenza, con gli atteggiamenti meravigliosi o con la nobiltà del verso e i voli della fantasia e i torrenti di parole sonanti, io non nego a questa necessaria espressione del sentimento gli onori dovuti alla famosa bellezza», perchè la bellezza, in tal caso, è nella stessa necessità dell’espressione, è nella sincerità dei mezzi scelti per l’estrinsecazione del contenuto drammatico. Ma se l’espressione è sovrapposta e se sotto di essa il contenuto si perde o a dirittura non c’è, il parlare di estetica è una puerilità.

«Sentire, e far sentire». Questo è il segreto, questo è il cómpito, questa è la legge dell’estetica per tutte le arti. Questa è la suprema bellezza dell’arte della scena, che quasi tutte le compendia.

Napoli, dicembre 1906.

Roberto Bracco


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