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Che gli apostoli ei profeti, anche quelli che da sè si eleggono apostoli e profeti, oggi muoiano di fame, è naturale e forse è utile. Sarà colpa dei tempi che, beati loro, sono irresponsabili. Ma lo Stato, rappresentante autorizzato del senso comune, non dovrebbe spendere i danari dei contribuenti a fabbricare, fuori della realtà e del bisogno, gli apostoli e i profeti a centinaia destinandoli dopo un lungo tirocinio al martirio.

Lo Stato, invece, ha questa crudeltà. Avete mai letto il regolamento d’un’Accademia di belle arti? Gli adolescenti possono entrarvi con la semplice licenza dalla quarta elementare, e durante i sei o sette anni di studi accademici nessuno s’incarica di diminuire questa loro ignoranza iniziale. Un professore col quale mi stupivo di questa mostruosità regolamentare, mi obbiettò che la cultura odierna d’uno scolaro di quarta elementare è di molto superiore a quella di Cimabue quando Cimabue abbandonò la scuola dei novizi di Santa Maria Novella per andar nella chiesa a lavorare con quei pittori greci dei quali parla il Vasari. E il professore con quest’osservazione difendeva non solo il regolamento ma anche sè stesso.

Ma lo Stato non si accontenta di proibire agl’ingenui delle sue scuole di belle arti quel tanto di cultura che permetta loro di conoscere il mondo in cui devono vivere cioè mangiare, e il mondo in cui vissero i grandi maestri proposti a loro esempio continuo. Esso vuole anche impedir loro di vedere i capola- vori dei quali essi devono alla cieca copiar i disegni, i gessi e le fotografie nella scuola. Infatti l’orario di quelle scuole di Stato è combinato in modo che essi non possano mai andare a vedere le gallerie, i musei, le chiese dove quei capolavori sono raccolti. Lo potrebbero qualche volta la domenica: perchè anche questo tentativo non riesca, lo Stato fa chiudere tutti i musei e tutte le gallerie del regno nei giorni festivi due ore prima che nei giorni feriali. Io conosco studenti dell’Accademia di Firenze che non sono mai stati a Palazzo Pitti, studenti del- l’Accademia di Roma che non sono mai andati al museo delle Terme, studenti dell’Accademia di Brera che non sono mai entrati nell’Ambrosiana. V’ha, sì, un corso di storia dell’arte obbligatorio in tutte le Accademie; ma il professore, se si risolve a far lezione, non sa come far comprendere che cosa sia il Trecento o il Quattrocento ad alunni che posseggono la sola licenza elementare.

Non basta ancora. Perchè questi artisti in erba non abbiano per amor del pane la velleità di studiare qualche mestiere artistico più facilmente ricompensato e più volgarmente utile dell’arte pura e accademica, lo Stato mantiene la separazione delle accademie d’arte pura dalle scuole d’arte industriale con tanta severità che i loro bilanci e le loro direzioni sono addirittura divise fra due ministeri, quello detto dell’istruzione e quello detto dell’agricoltura. Peggio: perchè un architetto se studiasse un po’ di scultura, o uno scultore se studiasse un po’ di pittura, o un pittore se studiasse un po’ d’architettura potrebbe uscendo dall’Accademia mostrare una qualche abilità pratica, lo Stato ha rigorosamente vietato nei suoi regolamenti che uno studente iscritto al corso di pittura o di scultura o di decorazione o d’architettura possa mai entrare per un solo minuto nella classe dell’altro corso vicino. Chi lo osasse, commetterebbe un così grave crimine contro la disciplina che il consiglio scolastico potrebbe anche espellerlo.

Per creare secondo queste meravigliose norme queste centinaia di martiri ogni anno lo Stato spende più d’un milione e mezzo. E si propone di spendere di più, adesso che è o si stima più ricco.

Perchè lo Stato crede che l’arte moderna sia un lusso, il suo lusso (e perciò un lusso di cattivo gusto), e crede che l’arte antica sia solo una pesante e fatale eredità del passato. Nei secoli scorsi i principi degli scomparsi stati italiani pensarono,


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