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uante persone uccide l’arte? Lo splendore della gloria di pochi vela alla vista del pubblico la strage. Si applaude guardando in alto e si cammina sopra molti morti: un bel tappeto rosso.

Gli artisti sono ancora fuori della società costituita. Domenico Morelli narra che nella sua gioventù «fra gli alunni dell’Accademia non se ne contava nessuno che appartenesse a famiglia agiata o signorile. Seppur ve n’era qualcuno, questi studiava solo architettura; degli stessi artisti provetti si aveva concetto come di persone stravaganti e d’una casta inferiore alla civile». In cinquanta o sessant’anni gli artisti hanno diminuito la lunghezza dei loro capelli, e alcuni anche - ma sono in minor numero - la larghezza delle tese dei loro cappelli. Di fatto la loro professione, come quella dei comici, risente dell’antico pregiudizio ostile. Molta colpa è loro; poca è del pubblico. Ma s’è mai veduto un artista recitare il «mea culpa»? Un mercante, un ingegnere, un medico, un uomo politico confessano facilmente il proprio errore; l’opera del loro ingegno si può misurare da tutti con una misura precisa, il vantaggio che i loro clienti ne traggono. Ma questa misura manca all’arte. È facile sapere che quell’ingegnere ha sbagliato costruendo sotto un monte una galleria che poi è stata interrata dalle frane. Chi può dire definitivamente che un quadro è brutto? Il gusto, per fortuna, è vario; uno cui il quadro piaccia, si trova sempre; e se la maggioranza è contro e se i colleghi sono contro e se la critica è contro, tanto meglio perchè sotto l’incenso di quell’unico suffragio l’artista derelitto può illudersi d’essere un martire e un apostolo nei secoli futuri destinato agli altari. Ed egli procede verso la fame, la miseria, la morte, sorridendo. Creatore d’illusioni è schiavo dell’illusione.

Del resto per tanti secoli l’estetica è stata considerata come un ramo della teologia, l’Arte e il Bello come emanazioni dirette della Perfezione divina che ogni artista sente ancòra in sè un po’ del sacerdote. E per quanto oggi dagli uomini ragionevoli l’arte sia considerata una necessaria funzione sociale e abbia lo scopo ben definitivo di piacevole e inesauribile rifornimento d’energia alla fantasia, all’intelletto e al sentimento dello spettatore capace, nell’artista resta con quel fondiglio di sacerdozio un lievito d’orgoglio sovrumano. Ascoltate i discorsi nelle assemblee degli artisti, leggetene gli ordini del giorno; tuonano come folgori. Novanta volte su cento non ne esce che fumo.


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