Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
ERSUASA dai recenti esempi fortunati di Torino e di Venezia, Milano ha creduto di dover consacrare tutta una sezione della grandiosa mostra, che ha chiuse le sue porte il giorno undici dello scorso novembre, all’arte decorativa internazionale.
Sebbene non ideata ed attuata cogli schietti, nobili e severi criteri d’arte di quelle delle due città sorelle, essa però, ad onore del vero, presentava, in mezzo a molta roba brutta e grossolanamente mercantile, parecchie opere importanti per originalità, per buon gusto e per l’elegante e sagace accordo della bellezza con la praticità, le quali hanno dato agio al nostro pubblico di conoscere, apprezzare ed ammirare vari artisti stranieri ad esso ignoti o poco noti, ed hanno riconfermato in modo vittorioso le speranze che alcuni italiani, nelle precedenti prove del 1902, del 1903 e del 1905, avevano fatto sorgere negli animi di coloro che del risveglio delle così dette arti minori occuparsi con spiccata simpatia. Credo quindi che potrà riuscire non priva d’interesse pei lettori di «Novissima» una rivista sommaria, ma abbastanza completa della «Decorativa» milanese.
Come avrebbero dovuto e potuto essere tutti i vari com- partimenti dell’esposizione d’arte decorativa di Milano, lo rivelavano in modo oltremodo persuasivo il padiglione belga ed il padiglione ungherese, nelle cui sale si attardavano, con compiacimento grande degli occhi e dello spirito, gli intenditori ed i buongustai d’arte.
Nel primo, un baldo gruppo di artisti ed artieri, sotto la guida accorta e sagace dell’architetto” Horta e del critico d’arte Fièrens-Gevaert, avevano saputo accordare le arti maggiori con le arti minori, in un armonioso complesso di estetica leggiadria.
Il padiglione, nel suo complesso, nella semplice, ingegnosa e leggiadra facciata e nella vasta sala d’onore, così gaia e signorile sotto il rettangolare velario giallo, era opera di Victor Horta, il geniale ed audace rinnovatore, insieme con Paul Hankar, morto precocemente, dell’architettura del suo paese; mentre alcuni altri architetti, Léon Sneyers, J. F. de Coene, Georges Hobé, Oscar van de Voorde, Jan van Asperen, Émile van Averbeke, avevano ideato e fatto eseguire, sotto l’immediata loro direzione, tutta una serie di arredamenti, quali di lusso e quali economici, di stanze di appartamenti privati. Fra essi i due più riusciti, benchè di carattere spiccatamente differenti l’uno dall’altro, erano il salottino dello Sneyers, di vaghissima eleganza nell’assieme e di squisita e delicata grazia in ogni più
9 |