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novella xliv. | 75 |
quale era usato a tirare la pialla e la sega, con certi calli di porfido fa piombare uno schiaffo così ben misurato sulle guance dell’insolente avversario, che lo fe’ andare qua e là come un tordo impaniato fino alla scala della chiesa di S. Salvatore, dove finalmente cadde in terra stordito che parea ebbro. Alcuni che si erano raunati all’imboccatura della Calle degli Stagneri per vedere la fine della faccenda, udito il romore della ceffata, che suonò come un timpano, sparirono in un attimo. Il compagno di colui ch’era caduto, quasi volesse difendere e vendicare l’amico della gotata, pose mano alla scarsella e trasse o fece le viste di trar fuori l’arme; onde l’operajo veduto l’atto, e non avendo seco nè i suoi ferri nè altro, e forse affidandosi nelle salde nocca delle dita sue, pose mano ad un certo passetto da misurare, di quelli che si aprono e serrano e hanno la lunghezza di due piedi e mezzo, e facendo con esso mostrare di avere un coltello, cominciò a fare con le parole da Orlando. Se non che l’armato, o fosse la carità o altro che ne lo movesse, si pose in atto di soccorrere il compagno stramazzato in terra, che non si movea, e chiamavalo perchè si levasse. Intanto sopravvennero persone; onde l’operajo, il quale non facea valenterie per altro che per difendersi, veduto il nemico occupato intorno allo stordito e atterrato dalla ceffata, e udendo le genti che domandavano, Ch’è stato? parendogli di aver vinta la guerra, e non volendo altro arrischiarsi, ripose l’arme sua da misurare, e cheto cheto fra uomo e uomo ne andò alla volta di casa sua, ringraziando il Cielo di aver salvata la vita, e guardandosi sempre dietro di qua e di là, chè gli parea di essere inseguito dai due compagni, finchè aperse l’uscio e fu dentro.