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70 | novella xli. |
quali a poco a poco si andarono alzando tanto, che si scolpivano le parole. Si comprese dunque che i due, i quali favellavano, erano un oste e un forestiere. Diceva l’oste: Io vi ho dato la roba mia e vi ho mantenuto di vitto; vuole giustizia che io sia pagato. Rispondeva l’altro: E voi avete ragione; ma io ora non ho danari e gli attendo. E voi attendetegli, ma io non voglio altro indugiare. Voi avete pegno tale e tal cosa di mio, diceva l’altro; e io sono uomo onesto, nè l’onestà vi concede che mi diate l’assalto qui sopra una pubblica via, come se io fossi un truffatore. Io non so di truffatore o di non truffatore; pagami. Ed ecco che dalla civiltà del favellare si venne al tu, e a mano a mano si passava dal dire le ragioni allo scegliere le meno eleganti parole del linguaggio di due paesi, perchè l’uno parlava in veneziano e l’altro in toscano. Le voci che aveano cominciato piano, erano salite sì alto, che si sarebbero udite sui tetti e sui campanili, e si scagliavano le villanie di qua e di là con una furia, che se le gambe non aveano cervello, si sarebbero vedute budella e sangue. Io non so se il forestiere facesse pur daddovero o fingesse; ma cacciò la mano alla scarsella e fece atto di dar mano ad un coltello; onde le gambe dell’oste, che l’aveano già forse ammonito mille volte, non potendo più comportare la sua ostinazione, lo levarono su di peso come se fosse stato di paglia, e di carriera ne lo portarono in una bottega ove si vendono specchi, con tanta furia, che non ebbe tempo di vedere uno specchio molto ben grande che avea in faccia, onde vi cozzò dentro col capo e ne fece da duemila specchietti in un baleno. Le gambe del forestiere, veduto questo fracasso, ne lo avvisarono che il bottegajo potea fare zuffa per lo specchio spezzato; ond’egli cheto, come olio in un orcio, si partì di là, e l’oste sparì anch’egli per la medesima cagione: e perciò conchiudo, che quanto diceva l’amico mio, cioè che le gambe hanno gran cervello, è verissimo.