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62 novella xxxvi.

non sapea la sorte crudele che le soprastava, perchè scoccata dal cielo una folgore, venne a piombo, e appunto a colpire il sasso sotto a cui giaceva, sicchè tutto l’infranse, e lei sotto la rovina schiacciò ed uccise. Difficilmente può la umana accortezza guardarsi da casi tali: il meglio è non istudiarvi sopra per non tremare ad ogni baleno e tuono. Pochi dì fa ne scoccò una qui in Venezia in una casa dove erano molte persone raccolte, ed empiè tutti di spavento, e tuttavia altro male non fece se non che aperse un armario fitto in una muraglia. All’incontro mi ricordo di un villano da me conosciuto, e che tutte le cose sue le faceva col piede del piombo: questi trovandosi in un bosco in cui è una chiesicciuola dedicata a San Lionardo, e lavorando quivi con altri suoi compagni, si levò un tempo orribile, ond’egli con altri due si ritrasse sotto una quercia. Gli venne in mente che le folgori feriscono più spesso i luoghi alti; lo disse a’ suoi compagni, ed essi per timore della pioggia non si mossero di là, e all’incontro andò egli a ripararsi dietro ad una muraglia della chiesetta. Non sì tosto vi giunse, che la saetta scoppiò sul muro e l’uccise, e i suoi compagni furono salvi.


XXXVI.


Come alcuni Schiavoni facessero partire svergognati due paladini.


In certe botteghette di campagna mal provvedute si veggono diverse scatole con le loro iscrizioni di fuori che pajono additare quel che vi è dentro; ma la è come dire una maschera e un’apparenza del bottegajo, il quale con quella bella mostra vuol mantenere il concetto delle faccende. E però se qua vedi scritto Gherofani, non ti affidare, chè vi saranno finocchi, e dove leggi Cannella, pensa che vi troveresti una polvere di tegolo pesto con alcun poco di odore; e così di’ del pepe e di tutte le altre