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novella xxvi. 45

e tra la cavezza ch’era dietro alla sella e altre funicelle e vinchi ritorti, fanno un ordigno a guisa di pettorale, e postolo al petto del cavallo con due capi lunghi di qua e di là, attaccano questi a’ buoi per tirarnelo all’indietro a forza; chè per le quattro lire l’avrebbero tirato all’inferno. Uno di loro piglia in mano il freno, e con un bastone lo minaccia da fronte; l’altro con un pungolo stimola i buoi, e tirano. Il cavallaccio fa due o tre passi indietro quasi a stento prima; ma poi sentendo che dovea rinculare a suo dispetto, comincia a curvare le ginocchia e ad appuntar le ugne sul terreno per andare avanti; ma tardi, perchè quattro buoi poteano più di lui e lo traevano di cuore come una carretta. Sbuffa, suda, si scuote: le voci infernali de’ villani e il vigore de’ buoi non gli lasciano aver fiato. Finalmente, dopo avernelo così tratto per un buon pezzo di via, ch’era tutto spumoso e con due occhi vermigli che pareano fuoco, il piovano ringrazia i due uomini, dà le quattro tire, fa levar via gli ordigni e sale di nuovo. Il cavallo, parendogli un bel che l’essere fuori di quell’impaccio, comincia a correre soave, che parea Brigliadoro, tanto che appena il cavalcatore potè a poco a poco ridurnelo al galoppo, poi al trotto e finalmente ad un buon passo, che lo condusse a Fusina, donde scrisse al suo amico, che gli avea guarito il cavallo del restìo, assecondando le sue voglie.


XXVI.


Di uno che credette di aver trovato un liquore
che preservasse da morte.


Trovavami lunedì verso le ore 23 in un certo stanzino con la compagnia del calamajo e della penna che in verità alle volte sono una seccaggine. Mentre ch’io stava pensoso, e forse di quello che dovea riempire questo foglio, odo a picchiare all’uscio con gran forza, mi levo e apro. Veggo un