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novella xvi. 259

conoscenza. Se non potete disingannarlo, andrò io stesso ad arrecargli la mia testa: faccia egli della mia vita che vuole, purchè sia la vostra sicura. Lo scongiurai di nuovo a partire; ma egli si rimase più che mai fermo nella sua opinione.

Io mi presentai la vegnente mattina a Mamun: era questo principe vestito con un mantello di color di fuoco, simbolo dell’ira sua. Appena mi ebbe egli veduto, che mi domandò dov’era il mio prigioniero, e ad un tempo ordinò che venisse il carnefice. Signore, gli diss’io gittandomi alle sue ginocchia, cosa straordinaria è avvenuta intorno a colui che mi venne affidato da voi. Mi conceda vostra Maestà che io gliela faccia sapere. A queste parole si empiè di sdegno. Giuro, disse, per l’anima dell’avolo mio, farò morire te in cambio del prigione, se l’hai lasciato fuggire. La mia e la sua vita sono a disposizione della Maestà vostra; ma si degni ella solamente di ascoltarmi. Parla, rispose. Io gli narrai allora in qual guisa cotesto uomo mi avea salvata la vita in Damasco, e che io, per desiderio di pagargli l’obbligo mio, gli avea offerta la libertà, ma ch’egli l’avea ricusata per non esporre me alla morte. Signore, soggiunsi, egli non è reo: un uomo così generoso non può esserlo. Vili calunniatori l’hanno fatto apparire altro da quello ch’egli è agli occhi vostri: egli è vittima sventurata dell’odio e dell’invidia scatenatasi contro di lui.

Parve che nel Califfo entrasse la compassione. Avea cotesto principe un’anima per natura grande, nè potè fare a meno di non ammirare il contegno dell’amico mio. Per tua cagione gli perdono, mi disse Mamun: va, dagli questa buona nuova, e fa ch’egli venga a me. Mi gittai a’ piedi del principe e glieli baciai, ringraziandolo coi più efficaci modi che potè suggerirmi la gratitudine: condussi poscia il prigione innanzi al Califfo. Lo fece il monarca vestire con onorati vestiti, e fecegli donare dieci cavalli, dieci muli e dieci dei cammelli suoi; ed a tutte queste grazie aggiunse una borsa con diecimila zec-