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novella xvi. 257

esclamai, tutte le sue benedizioni sulla città di Damasco e principalmente sulla contrada della tua abitazione, volle sapere da me qual cagione m’infuocasse così l’animo: Io sono, risposi, debitore della vita ad un uomo della tua contrada.

Queste parole risvegliarono in lui la curiosità, e mi fece grande istanza ch’io l’appagassi. Io seguitai: Molti anni sono che il Califfo, malcontento del vicerè di Damasco, lo depose. Io accompagnava colui che dal principe era stato eletto per successore di quello. Nel punto che si prendea da noi possesso del palagio del governatore, insorse quistione fra i due governatori nuovo e vecchio; avea quest’ultimo appostati de’ soldati che ci assalirono: io balzai da una finestra del palagio, e vedendomi inseguito da altri assassini, mi posi in salvo nella contrada vostra. Vidi quivi un palagio aperto, il cui padrone era sull’uscio, e lo scongiurai che mi salvasse la vita: egli mi condusse di subito nell’appartamento delle sue femmine, dove dimorai pel corso di un mese nell’abbondanza e nella pace.

Venne un giorno l’ospite mio a darmi avviso che una carovana era in ordine per andare alla volta di Bagdad, e che se avessi avuta intenzione di rivedere la patria mia, non avrei potuto ritrovare opportunità più bella. Vergogna mi chiuse la bocca, sicchè non ebbi cuore di aprirgli la mia estrema povertà: trovavami privo di danari, e per conseguenza obbligato a seguire la carovana a piedi. Ma fu ben somma la mia maraviglia, quando nel giorno della mia partenza mi fu condotto innanzi un bellissimo cavallo, un mulo carico di provvisioni, uno schiavo negro per servirmi in cammino, e nello stesso tempo l’ospite mio mi consegnò una borsa d’oro, ed egli in persona mi guidò alla carovana, dove mi raccomandò a molti degli amici suoi viaggiatori. Ecco qual benefizio ricevetti nella città vostra, e perchè l’ho io così cara: io non ho altra maggior doglia che quella del non aver mai potuto sapere chi fosse il mio ge-