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250 novella xiii.

si avvezzano. Ma dell’equità sua tutti godono, e della sua ingiustizia tutti hanno patimento, e di qua verrà benedetto o maledetto da tutti.


XIII.


L'Uomo di corte virtuoso.


Il Califfo Maadi, della stirpe degli Abassidi, era grande amatore delle lettere, delle arti e de’ passatempi. Avea per affezionato un cortigiano detto Jacub, che amava egli ancora le belle arti come il Califfo. La voce dilicata di Jacub e i suoi ingegnosi e pronti motti erano le delizie de’ conviti del suo signore, il quale l’ammetteva anche al suo serraglio; chè i Califfi mio erano tanto gelosi, quanto i principi orientali lo furono dopo: debolezza che fra’ Musulmani crebbe poi sempre.

Avvenne che un giorno Jacub, partitosi dalla mensa, e salito a cavallo per tornarsene a casa, cadde e si ruppe una gamba. Il Califfo, avuta la nuova di tale accidente, mostrò tale travaglio, e tanto pensiero e cura si prese dell’ammalato, che destò l’invidia in tutti coloro che non aveano la stessa sorte di piacere al padrone. Molti intrapresero di rovinare cotesto favorito, e tutti d’intelligenza si diedero a risvegliare sospetti nel principe. Mentre che la gamba di Jacub andava riacquistando salute, andava egli perdendo parte della fiducia e della grazia del padrone; imperocchè avviene alla corte, più che in qualunque altro luogo, quello che si dice per sentenza:

L’uom che non è presente ha sempre il torto.

Aveano zufolato agli orecchi del Califfo molte lingue essere Jacub favorevole alla stirpe degli Alidi, nimici e rivali della sua famiglia.

Quando il favorito suo si ritrovò guarito, non solo si tenne in cuore coperto il sospetto che avea, ma