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novella x. 247

il Cadì l’approvi. Confesso che il merito mio è quello di perdere la dote, e vi prometto di non dolermene in giudizio: ripigliatevi inoltre queste gioje e queste smaniglie che donate mi avete; tanta ricchezza avrò, quanto potrà bastarmi se conserverò la mia riputazione.

Quantunque il marito fosse fuori quasi di sè pel furore, ritrovò che ragionevole era la proposizione: le tolse le gioje, ed assentì al divorzio. Tutti e due d’accordo andarono al Cadì. Quivi pervenuti davanti al giudice, il marito fece la sua esposizione, dicendo che la moglie, stanca ed infastidita di essere seco, era contenta di perdere la dote, purchè fosse sentenziato il divorzio. Vi accordate voi a questi patti? disse il Cadì alla femmina. A cui ella così rispose: Signore e giudice nostro, egli è pur forza che una sventurata ceda alla violenza: questo crudelissimo uomo, ch’è mio marito, mi batte colla maggior furia del mondo ogni dì, perch’io consenta a rinunziargli la dote; e oggi appunto, oggi mi ha egli con violenza spogliata delle smaniglie ch’io avea ricevute da’ miei parenti: io vorrei bene, è vero, lasciargli ogni cosa, piuttosto che mettere più lungamente a rischio la vita mia; ma chieggovi giustizia della oppressione e della violenza: per prova di quanto vi dico, egli ha ancora addosso le smaniglie che poco fa mi strappò a forza. Giacch’egli mi ha in presenza vostra ripudiata, mi terrò fortunata di non essere più sua; ma invoco il potere delle leggi e gli domando la dote.

Accompagnò l’astuta femmina le sue parole con un torrente di pianto così dirotto, che persuase il Cadì e crederle quanto ella detto avea: fece fare la cerca indosso al marito: gli furono ritrovate le smaniglie, e senza volerlo più altro ascoltare, venne tratto a forza in prigione, perchè quivi stesse finchè avesse sborsata la dote.

Il mercatante amatore, che impaziente attendea novelle di colei che avea rinchiusa, fu ripieno di meraviglia al veder quivi giungere colla catena ai