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novella viii. 241

Bagdad aveano logorato l’ingegno e l’arte a rappiccare quei poveri rimasugli che non poteano più stare insieme. Per la qual cosa erano diventate di tanto peso, che andavano in proverbio; e quando si volea significare cosa di troppo gran peso, le Pantofole di Casem venivano poste in campo nella comparazione.

Egli avvenne un giorno che trovandosi cotesto mercatante a passeggiare nel mercato pubblico della città, gli venne proposta la compera di una grossa partita di cristallo: conchiuse il contratto perchè l’ebbe per vantaggioso, ed avendo udito di là a qualche giorno che ad un profumiere rovinato non rimanea altra speranza che in una buona quantità di acqua di rose da vendere, colse vantaggio dalla disgrazia di cotesto povero uomo, e comperò l’acqua di rose per la metà della valuta; onde ricreatosi per così vantaggiato negozio il cuore, e fattosi di umor lieto, in cambio di dare un convito, seguendo l’uso dei mercatanti di Oriente, gli parve spediente migliore l’andarsene al bagno, dove non era stato da lungo tempo.

Mentre ch’egli spogliavasi del vestito, uno degli amici suoi, o almeno da lui creduto tale (poichè gli avari sogliono averne di rado), gli disse che le pantofole sue lo rendevano la favola della città tutta, e ch’egli finalmente avrebbe dovuto comprarne un altro pajo. Egli è gran tempo che io penso a ciò, rispose Casem; ma in fine non sono esse tanto rovinate, che non possano ancora servire; e così ciarlando si trovò spogliato ed entrò nella stufa.

Mentre che si lavava, anche il Cadì di Bagdad andò quivi per lavarsi; ed essendo Casem di là uscito prima del giudice, entrò nella prima camera; ripigliò i vestiti suoi, ma cercò le pantofole invano: in cambio delle sue vecchie, ne vide bensì delle nuove. L’avaro nostro tenendo per fermo, poichè così bramava che fosse, che quelle fossero un dono fattogli da colui che lo avea ammonito, mette i piedi nelle belle pantofole che lo liberavano dal dispiacere