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238 | novella vii. |
mondo a procacciarti un amico vero, e s’egli ti abbisogna, spendi in ciò quanto hai di più prezioso e caro.
Il giovane dal padre si licenziò, e ne andò ad un paese molto lontano da quello donde si era partito. Non vi durò lungo tempo, e ritornò alla patria. Oh, non ti aspettava io già così tosto, gli disse il padre maravigliato di così presto ritorno. Voi mi commetteste, gli rispose il figliuolo, ch’io andassi in traccia di un amico; ne condussi qua cinquanta, i quali sono modello di vera amicizia.
Figliuolo mio, ripigliò il mercatante, non dar loro così spensieratamente e largamente questo sacro titolo: ti sei tu dimenticato di quello che dice il poeta persiano? Non esaltare tanto l’amico tuo, se prima non ne hai fatto esperienza. Egli è cosa rara: quasi tutti coloro che vagheggiano questo titolo e lo vogliono, non hanno altro dell’amico fuorchè la maschera: somigliano ad una nuvola di state che ad un menomo raggio di sole si rompe e svanisce: il fatto loro con gli amici è quello de bevitori con una secchia di vino, i quali, finch’essa ha dentro di cotesto liquore che ammalia, l’abbracciano amorosamente, e la gittano a terra di subito quando vôta rimane. Dubito grandemente e temo che coloro, de’ quali tu sei cotanto contento, somiglino a quelle anime ingannevoli, delle quali ti feci ora uno schizzo. Padre mio, rispose il giovane, ingiusto è il vostro sospetto: coloro che sono da me stimati amici, se io cadessi nelle avversità, avrebbero sempre lo stesso cuore.
Io sono vissuto già sessant’anni, rispose il mercatante, ed ho provato che cosa sia la buona e la contraria fortuna: molti sono gli uomini da me veduti e praticati; appena in giro di anni così lungo ho potuto fare acquisto di un amico vero. Come hai tu potuto in così fresca età averne oggimai trovati cinquanta? Impara da me a conoscere gli uomini.
Il mercatante sgozzò un montone, lo pose in un