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14 novella viii.

VIII.


Se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali.


Ci sono certuni i quali debbono credere ch’io sia una sibilla. Mi vengono con polizze domandate cabale, spiegazioni d indovinelli, interpretazioni, scioglimenti di dubbi: fioccano i biglietti da ogni lato; io gli leggo, e non trovando in essi cose a proposito per questi fogli, non rispondo: privatamente non mi posso scusare del mio silenzio a chi mi scrive, non sapendo chi sia stato: alcuno si sdegna e ritocca con polizze nuove, onde ho sempre addosso una tempesta di carte. Ho pensato di scusarmi con certuni in istampa: ognuno si prenda la scusa che va a lui, perch’io dico ora fra me, qual chi semina il grano: germoglierà dove cade.

Alla polizza che mi domanda ch’io giudichi se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali, rispondo che la richiesta è troppo universale, e che le fatture sono di sì varj generi, e io ne so tanto di fatture, quanto le fatture sanno di me. E però mi scusi se in cambio di sentenziare gli dirò una novelletta accaduta pochi anni fa in una nobilissima città d’Italia.

Trovavasi in una città Fefautte, musico di professione, a cui soffiava ne’ polmoni un certo venticello di boria che lo rendea in molte cose nuovo e singolare. Pure, perch’egli sapeva l’arte sua assai bene e cantava dolcemente, avea molte persone che per udirlo lo visitavano la sera, onde in casa sua facevasi una garbata conversazione. Accadde che una sera fra le altre venne in quella compagnia condotto un dottissimo uomo, valente in medicina e buon filosofo, il quale per gli arguti suoi detti e per un certo suo vivere naturale e quasi alla carlona veniva grandemente amato da ogni uomo del suo paese. Era già adunato nella stanza del Fefautte un