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228 | novella v. |
da cotesto uomo che avea fama di cotanta capacità; onde mandò a lui la Kahermanè, che tanto è a dire quanto soprantendente alle donne del serraglio, detta Raziè, che ne andò al dottore, facendogli per parte del sovrano una lunga e articolata esposizione dello Stato della sua favorita. In effetto l’Arabo avea appresso di sè quella sola persona che potea risanare Zeineb. Commise al giovane Numan che andasse per una certa ampolla, e sopra una cartuccia appiccata ad esso vaso gli fece scrivere di sua mano in qual forma si avesse a fare uso del liquore in esso contenuto.
Si può ben credere che Zeineb conoscesse il carattere di Numan, nè si potrebbe mai dire quanta fu la confusione di lei alla vista di quello; e ben crebbe in doppio quando intese che lo scritto era di mano di un giovane di Cufa, bello a maraviglia, e che parea malinconico. A tali particolarità Zeineb svenne, e quando richiamò a sè gli spiriti pel soccorso prestatole da Raziè e più ancora per la virtù di quel divino liquore, tante furono le lagrime dell’amante giovane, tante le sue affrettate domande l’una dietro all’altra, e l’allegrezza che mal suo grado le si vedea in faccia, che il suo segreto fu manifesto.
La compassionevole Kahermanè deliberò di salvare Zeineb da lei veduta sempre infelice, ed a favor della quale trovavasi grandemente interessata. Ritorna Raziè alla bottega del valente speziale, ed avendo lungo tempo parlato della sua giovane inferma, del sollievo che trovato avea nel medicamento, della bellezza, della malinconia, delle grazie che fra tutte le sue compagne la rendeano distinta, del Califfo, dì cui egli non avea potuto mai riceverne il pregio, Numan che si divorava con gli orecchi quanto udía dire, svenne anch’egli dal suo lato.
Raziè che avea voluto leggere nel cuore del giovane, fu contentissima di ritrovarlo così affettuoso. Dappoichè ella ebbe ajutato il medico a soccorrerlo, gli fece comprendere di averlo inteso; e per raddol-