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224 | novella v. |
netta amica, per andarsene, le disse, ad avvisarne prima le sante femmine. Era già poco tempo passato che Zeineb era sola nel vestibulo rimasa, quando quattro uomini mascherati la presero, e mettendole un pannolino alla bocca perchè non potesse gridare, la chiusero in una lettiga che prese il cammino alla volta di Damasco.
Qual fosse lo stato della mala avventurata giovane non si può facilmente comprendere: dolevasi a cielo della tristizia degli uomini, ed amaramente piangea l’amante, il suocero e la buona fortuna di che veniva privata. L’orrore dell’avvenire mescolava passione e timore, e quella diligenza e attenzione che si usava nel condurla, altro non faceano che renderle più amara e insofferibile la vita.
Trenta giorni stette in cammino, a capo dei quali giunse a Damasco, dove presentata fu al Califfo l’afflittissima giovane a nome del suo rapitore. La sofferta doglia non potè far sì, che la bellezza della giovane si fosse minorata; anzi quella passione le dava maggior grazia e la rendea più degna dell’altrui affezione. A tutti i travagli ch’ella avea già provati, e che le straziavano il cuore, si aggiunse anche l’ultimo dell’essere giudicata bella a suo dispetto.
Il Califfo, preso l’animo da tanta e così rara bellezza, ebbe in suo cuore speranza di poter fra poco tempo discacciare dal cuore di lei la tristezza. Quasi tutte le belle giovani, ch’erano divenute sua conquista, al primo apparire dinanzi a lui aveano dati segni di malinconia e di doglia; rincrescimenti che imputati da lui agli orrori della schiavitù e al dolore dell’avere abbandonati degli affettuosi parenti, gli rendevano quelle bellezze più care, nè punto temea di non averne ad ottenere vittoria.
La sontuosità del serraglio, gli atti di sommessione di una calca di schiave, sempre rivolte a colei che veniva dal principe alle altre preferita, le premure dello stesso Califfo non furono bastanti a calmare il dolore di lei, che anzi parea aumentarsi col tempo: