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un albero ch’era in fondo al giardino di Daber, Zeineb prese un liuto per accompagnare la sua voce, si diede a cantar le grazie e le attrattive del suo amante, e quella felicità alla quale trovavasi oggimai vicina. Hagiage1, generale degli eserciti del Califfo

  1. Questi fu uno de’ più eloquenti e maggiori capitani che avessero gli Arabi. Era generale degli eserciti d’Abdulmelik, quinto Califfo della casa degli Ommiadi. Questo principe debitore del trono a lui, quando Hagiage ebbe sconfitto e fatto morire il ribelle Abdallah Zobeir che avea preso il titolo di Califfo, gli diede per premio il governo dell’Itaca arabica. Viene tassato di essere andato nella severità sì avanti, che desse nel crudele. Si accerta ch’egli avesse fatto morire centomila persone, e che quando venne a morte, ne avea cinquantamila nelle carceri. Hagiage, per iscusarsi del rigore da lui usato contro ai sudditi suoi, solea dire queste parole: Rigore non solo, ma violenza eziandio, quando si tratta di reggere popoli, si dee preferire alla debolezza: perchè quella interessa il solo particolare, questa l’universale.
         Con tutto che fosse di così rigida natura, una risposta ardita o ingegnosa gli toccava tanto il cuore, che facea grazia al reo: e molti tratti di lui in questo proposito si possono leggere nella Biblioteca orientale. Uno è questo. Kumeil, bello spirito di quei tempi, fra le molte imprecazioni che fatte avea contra Hagiage, avea detto: Diventi la sua faccia nera; espressione che in arabico significa: sia di vergogna coperto, abbia tronco il collo; spargasi il suo sangue. Vennero tali parole riferite ad Hagiage, il quale avendo domandato a Kumeil se vero fosse che proferite le avesse, questi gli rispose: Sì, ma io era allora in un giardino sotto un pergolato di viti, e considerando con dolore certi grappoli non maturi ancora, io desiderava che si affrettassero a farsi neri, perchè fossero tagliati e se ne facesse vino. Tale dichiarazione piena di prontezza, tanto diede nell’umore ad Hagiage, che annoverò Kumeil fra gli amici suoi. Non così felice fu uno strologo da lui consultato nell’ultima infermità. Aven-