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12 novella vii.

VII.


Il Terrore per equivoco.


Due giovani sollazzevoli di natura e di grazioso ingegno nel procurarsi scherzi da consumare il tempo lietamente, erano già passati più volte di notte per la Calle di . . . e avevano udito ad una data ora un fischio, al quale si rispondea incontanente dall’alto con un aprire di finestra, donde si udiva poi una voce di donna che rispondeva alla voce del maschio fischiatore. Passano di là una notte, passano un’altra, e ogni volta odono il zufolino e ogni volta la stessa apparizione. Venne dunque loro in animo di provare se poteano avere qualche buona ventura, o almeno sapere chi colui era, il quale avea tanta virtù nel fischiare, che facea correre le femmine alla finestra come gli uccelletti al richiamo. Per la qual cosa accordatisi fra loro, e imparato con varie prove la fischiata dell’innamorato, ne andarono, gli 11 del corrente mese di marzo, verso le sei ore, cioè un quarto d’ora prima di lui, ove sapeano; e appostatisi l’uno di qua e l’altro di là ai due canti della via, cominciarono a fischiare co’ tuoni dell’amico. Ma o fosse che l’ora non era l’assegnata dalla donna, o che i sibili non avessero la perfetta misura e il sapore degli altri, la finestra si stava chiusa che parea murata. I due fischiatori ostinati nell’impresa, sperando pur che si aprisse, ritoccavano a vicenda e guardavano di quando in quando all’insù; ma non era nulla. Avvenne frattanto che un terzo giovane, il quale andava per via alle sue faccende, molto bene e riccamente vestito, passò per caso di là, ed entrando nella Calle, udì poco discosto alzarsi or l’uno or l’altro de’ fischi all’aria. Il bujo e la solitudine gli cominciarono a metter la paura in corpo; onde stando in orecchi si arrestò, e temendo del suo mantello, pensava così fermo s’egli dovesse andar oltre o tornar indietro. I due che adocchiato l’aveano