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novella lxxxiii. 181

Io ho fin da’ miei primi anni abbandonato il pensiero di ogni altra cosa del mondo e quello di me medesimo ancora, per intrinsecarmi in questa benedetta arte, alla quale ho posto tutto il mio amore, cercando di avere per essa qualche onore nel mondo. Ho fuggite tutte le compagnie e i passatempi, facendo ogni mio diletto di questa tavoletta e di questi pennelli che voi vedete. Non mi sono curato nè di dormire, nè di mangiare talvolta per proseguire i miei onorati lavori. All’incontro gli amici vostri, che hanno sentenziata la mia pittura, non solo non hanno mai avuto un pensiero al mondo di quest’arte, nè mai hanno tocco pennello o intenzione avuta di disegno, ma fuggirono anzi ogni qualità di studio e di fatica, correndo dietro a’ diletti ed ai sollazzi a loro piacere. E se vegghiato hanno le intere notti, ch’io non vi potrei negare che non l’abbiano fatto, le vigilie loro furono impiegate in altro, che in fare figure dipinte e similitudini di persone. Con tutto ciò io non intendo che nel giudicare di pittura sia fra loro e me vantaggio veruno, se io non vi fo vedere in effetto ch’essi non sanno quello che dicano, e se voi medesimo non confessate ch’io abbia ragione. Per la qual cosa io vi prego che voi diciate agli amici vostri che vengano stasera, e diate loro ad intendere ch’io abbia ritocco il ritratto; ma prima venite meco, ch’io faccia di voi quello che vedrete. Il cavaliere, che ragionevole uomo era e discreto, consentì a quello che volle. Il pittore, ch’era persona d’ingegno destro e atto a diverse cose, prese incontanente una tela, e per modo la tagliò intorno, che il cavaliere potea adattare al taglio la faccia sua, e sì mettersela fuori per esso, che paresse una cosa dipinta; e fattovi intorno col pennello un campo e certe ombre che aiutassero l’apparizione, acconciò la tela in luogo che fra la notte, la luce di una candela e altri artifizj, avrebbe ingannato ognuno. Disposta in tal forma ogni faccenda, mandò il cavaliere per gli amici suoi di nuovo, pregandogli che venissero a vedere, i quali computando fra sè la brevità del