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novella lxxxii. | 173 |
per migliorare la sua condizione. Oh se io potessi avere tale o tal cosa, dice uno, io sarei beato! E se talvolta la fortuna gliela concede, e fa i suoi conti in capo all’anno, trova ch’egli ne avrà avuto quello che avea prima, e che tanto gli era se fosse rimaso a quelle condizioni nelle quali si trovava; perchè tanti saranno stati i suoi pensieri, e forse le spese per averla, ch’egli avrà mandato a male molto tempo e danaro, e si sarà scioperato e disagiato; e avrà dall’una parte perduto tanto, che i calcoli si pareggiano. come avvenne a quel principe di cui si racconta la seguente novella.
A que’ tempi ne’ quali era grandissima la riputazione de’ Cavalieri della Tavola Ritonda, e quando gli uomini di grande animo, abbandonato l’ozio della famiglia, salivano a cavallo, e con una lancia sulla coscia andavano per le selve in traccia di avventure, fu già un nobilissimo principe il quale s’invogliò di aggirarsi per la terra, e di fare quello che faceano cotesti erranti cavalieri. Ma avendo egli udito, che quando ritornavano alle case loro, ragionavano delle grandissime imprese che aveano fatte del liberare donzelle dalle mani de’ ladroni, dell’uccidere giganti, del combattere co’ diavoli dell’inferno, e fra tante faccende non si diceva mai, o almeno di rado, a quale osteria avessero mangiato; e parendogli, oltre a ciò, che venissero a casa magri e sparuti che pareano graticci da seccar lasagne al sole, disse fra sè: Questo so io bene che a me non interverrà. Egli è una bella cosa acquistar gloria, e intendo anch’io di fare come gli altri; ma poichè il cielo, oltre l’avermi dato un gran coraggio, mi ha conceduto anche di che poter empiere la borsa, io non voglio correre pericolo di pascermi di foglie come i bruchi, o di nebbia, e intendo anche di non dormire sulla terra. Per la qual cosa, fatti grandissimi provvedimenti di danaro e di robe, incominciò il suo viaggio, e cavalcando un giorno lungo una montagna, alzò gli occhi ad una certa balza, e vide in un greppo intagliate queste parole: