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168 novella lxxxi.

della passata superbia a Giovanni, e la Geva daddovero avrebbe volentieri tratti gli occhi di capo allo strolago che gli avea procacciata tanta felicità per così breve tempo. Il Dottore co’ suoi incantesimi restituì la propria immagine all’una e all’altra delle donne; e Giovanni fece un dono di cinquecento scudi a Taddeo, il quale divenne con essi un ricchissimo calzolajo: e da indi in poi, non avendo più la povertà che gli pungesse il cuore e il cervello, amò affettuosamente la Geva, e lasciò stare il bastone.


LXXXI.


Il Bevitore, o sia regola per dar giudizio di altrui.


Quo me, Bacche, rapis tui Plenum?



Dove pieno di te, Bacco, mi traggi?


Sarà uno nella sua stanza cheto, solitario; penserà, leggerà, scriverà, o farà qualche altra opera onorata; uscirà di casa, anderà un poco intorno a ricrearsi all’aria; saluterà due o tre amici, perchè pochi più nè avrà voluti, sapendo che di rado se ne trova anche uno che vero sia, e appresso rientrerà come prima a fare i fatti suoi. Che uccellaccio è questo? diranno alcuni: non è possibile che un uomo sia fatto a questo modo. — Si comincia ad interpretare ogni suo atto, ogni parola. Sapete voi che ha voluto dire quando alzò le spalle: Quello che significò quell’occhiata e quella parola tronca ch’egli ha proferita? — Sicchè il pover’uomo, senza punto avvedersene, ha dietro il notajo e lo strolago, e chi nota, chi indovina, chi fa comenti alla sua lingua e a quante membra egli ha indosso. Volete voi più? Tanti sono i sospetti del fatto suo, ch’egli avrà fatto