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152 | novella lxxviii. |
uccidere Menicuccio, avea deliberato di uccidere lei, e già stava apparecchiato a darle la morte. Intanto non tralasciava egli mai di visitare l’Antonia, e sempre più si mostrava perdutamente innamorato di lei, giurandole che non si curava punto dell’essere ammazzato, purchè potesse pervenire ad averla per isposa.
Ma la mattina che succedette allo scartabello appiccato all’uscio con le ossa, trovandosi verso le tredici ore la villanella in un bruolo a cogliere non so quali frutte, la si vede a venire incontro il Truffaldino con un archibuso in atto di spararglielo addosso. Di che la povera giovane tutta spaventata, e quasi mancandole il fiato in corpo, volse le spalle, e si diede a fuggire gridando: Accorr’uomo; e molto più alzando le voci, quando si udì dietro alle spalle lo scoppio dell’archibusata, scaricata contro di lei dalla maschera, benchè per sua buona ventura il colpo riuscisse vano. La madre dell’Antonia, ch’era femmina di gran cuore, udito lo strepito dell’archibuso, e le strida della figliuola che andavano al cielo, dato mano a due pistole, ed uscendo in furia, chiamò anch’ella genti, prendendo maggiore animo quando vide che da un osteria quindi poco lontana molti concorrevano in soccorso dell’Antonia e di lei. In questo tempo il pessimo Menicuccio, vedendosi mal parato, e comprendendo ch’era venuto il punto che la sua ribalderia sarebbe stata conosciuta da ogni uomo, si calò incontanente in un fosso, e quivi dentro lasciato il vestito e l’archibuso, pensava al modo di salvarsi. Ma la madre che l’avea veduto a discendere, accennando ad ognuno il luogo, e tutti invitando ad accorrere dove si era calato il traditore, lo fece per modo sbigottire con le sue voci, che salendo quatto quatto di là, si nascose in un campo folto di biade, sperando, finito il romore, di poter quindi trarsi in salvo. Ma non giovò, perchè in quel modo appunto che i cacciatori e i cani assediano un luogo dove sanno che sia accovacciata una lepre, fu accerchiato il campo intorno intorno; e tanto fecero