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148 novella lxxviii.

ch’ebbe pazienza, e da due volte in su ritoccò ancora il ritratto; ma finalmente perduta la sofferenza, e non potendo più durare a veder un naso che non istava mai saldo, gittato a terra i pennelli e la tela, gridò: Cotesti nasi che non sono stabili vadano a farsi dipingere dal diavolo. E cotesti pittori, rispose Pippo, che non sono mai d’un umore, non abbiano altri nasi da dipingere. E ognuno se n’andò a’ fatti suoi, l’uno co’ suoi capricci, e l’altro col suo naso a banderuola; l’uno a bestemmiare: e l’altro a ridere del passato accidente.

LXXVIII.


Sul prender vendetta.


Jamque irae pature.
Luc., Lib. II.          

Finalmente scoppiarono aperti gli sdegni.


Io vorrei, quando uno ha a fare vendetta per qualche torto che gli paja di avere, o che in effetto abbia ricevuto, ch’egli pensasse con qualche atto magnanimo, improvviso, notabile fra gli uomini, di far vergognare il suo nemico, e forse pentire del male da lui commesso. Ho veduti molti con la prontezza dello spirito e con una sola parola vendicarsi di una gravissima offesa, per la quale un altro sarebbe venuto alle bestemmie e all’armi; e se non avesse per allora potuto far altro, sarebbesi serbata in cuore una ruggine di parecchi anni, per cogliere un giorno e abbattere il suo avversario. Il qual modo di procedere ha piuttosto del bestiale che dell’umano, vedendo io che le bestie di rado coprono il rancore, e almeno se odiano, avvisano altrui coll’arricciare il pelo quando lo veggono, e dirugginando i denti e con certe vociacce dimostrano la conceputa ira; là dove gli uomini ricoprono la stizza con le guardature elementi, con le parole melate, e