Pagina:Novellette e racconti.djvu/155


novella lxxvii. 145

lor compagnia parecchi anni, può leggere in cattedra di quest’arte. Avrei molti esempi da arrecare innanzi di sì fatti temperamenti, e sarebbe di necessità l’addurne alcuno, perchè dicono i maestri che non è cosa la quale più insegni dell’esempio. Ma un solo ne sceglierò, il quale ha in sè un certo che di piacevole, e mostrerà come uno di questi tali venisse deriso, e come fossero le sue fantasie gastigate da un bell’umore.

Fu già un pittore, non mi ricorda ora in qual paese, il quale nell’essere capriccioso vinceva ciascun altro de’ suoi pari; e comechè nell’arte sua fosse valentuomo e perito, pure gli era continuamente così, diverso da sè medesimo, che Giobbe si sarebbe disperato seco. Egli era sopra ogni altra cosa peritissimo nel fare de’ ritratti per modo che, dipingendo uno parea la natura medesima che l’avesse rifatto; e se il pennello suo avesse potuto far parlare, non mancava altro a dire: Questa tela ha vita. Avrebb’egli avute le maggiori faccende della città, ma era così solennemente lunatico, che pochi volevano impacciarsi seco; perchè lasciamo stare ch’oggi egli volesse dipingere, e poi stesse quindici giorni che non voleva udirne a parlare (essendo questa quasi usanza comune di quell’arte); it peggio era che secondo il suo umore volea che acconciassero la faccia coloro che andavano per farsi dipingere; tanto che s’oggi egli era lieto, egli ti facea adattare innanzi a sè con un sorriso fra le labbra, e così ti dipingeva quasi fino a mezzo; e se frattanto gli si alterava la fantasia, e gli veniva per l’animo qualche tristezza, cancellava ogni cosa, e volea che tu gli presentassi una faccia malinconica, e tornava da capo; nè mai avrebbe terminato un lavoro, che in parecchi dì non t’avesse fatto scambiare più volte, secondo ch’egli era dentro; tanto che non si sa com’egli potesse mai condurre alla fine un’opera con quella perfezione ch’egli facea. A ciò si potrebbe aggiungere il fastidio dell’essere seco alle mani; perchè un giorno