si veggono frequenti gli uomini della sua città, e quindi era per la pulitezza de’ suoi costumi comunemente amato ed onorato. Avvenne un giorno fra gli altri, che standosi egli a sedere in una bottega di caffè, e ragionando con varj signori che quivi erano, entrò in quel punto un avvocato che, quanto alla professione sua, è uno dei più ingegnosi e celebrati che sieno in quel paese; ma, parte per natura e parte per voglia di far ridere le brigate, si diletta di pungere e motteggiare altrui forse giù gagliardamente di quello che consenta l’urbanità e la gentilezza dell’animo. Giunto dunque l’avvocato colà dove fra molti era il giovane, e postogli prima gli occhi addosso, quasi avesse a chiedergli qualche cosa d’importanza, gli disse: Signor mio, egli è lungo tempo che io desidero intendere da voi se nella vostra famiglia vi è un testamento, uno stromento o altra scrittura di fidecommissi e primogenitura, o altro, per la quale debba in ogni tempo venire per eredità ai corpi del vostro casato qualche sconciatura. Il giovane che udì il ragionamento, chiuso con tutto altro fine da quello ch’egli avea nel principio immaginato, e udì ridere intorno la brigata alla malignità di quelle parole, arrossì prima, e sentendo in suo cuore non picciola confusione, gli rispose: Signore, io non ho, che il sappia, offesa mai la persona vostra, nè lo farò; onde vi prego, da qui in poi guardatevi dall’attaccare me con parole, perché egli si potrebbe ancor dare che io fossi di tristo umore per aver pranzato male, e vi facessi pentire del vostro ardimento. Gran mercè, ripigliò di subito l’avvocato: voi mi date un buon avviso, ed io non vi parlerò più nè oggi, nè domani, nè l’altro, nè mai, perché sarete di tristo umore ogni dì, sapendo che non pranzate mai bene; gran mercè, gran mercè dell’avviso. Risero tutti i circostanti dell’amara puntura, comeché a molti intrinsecamente dispiacesse, essendo siffatta la natura umana che non si può ritenere dal ridere ad un improvviso morso dato ad altrui, comechè non si applaudisca in cuore al mor-