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novella lxvi. 115

un certo suo cane, di una quaglia o di una beccaccia; e quando egli entra a dire del suo archibugio, la lingua non può più arrestarsi in sua bocca. La fortuna che mi strazia per ogni verso, mi fe’ trovare costui in un cortile, mentre ch’egli ritornava a casa col suo archibugio in ispalla e col cane alle calcagna; onde vedutomi, come quegli che mi conosceva da lungo tempo, incominciò a cianciare e a raccontare il fatto mirabile di una lepre che si era fuggita con non so quai pallini nel groppone; e dálle dálle dálle, tanto si scaldò, che percosso colla lingua un dente, lo sbalestrò in terra di qui colà, come se l’avesse sputato. Beccavano all’intorno di noi alcuni polli, e come fanno che quando veggono a cadere qualche cosa, allargano l’ale, allungano il collo e corrono a quella in furia pigolando per beccare, se ne mosse uno stuolo, e uno fra essi prese il dente in becco e giù nel gozzo. Il galantuomo che si era già chinato per ricoglierlo, e vedevasi la preda uscita di mano, montò in tanta furia contro al pollo che avea beccato il dente suo, che il tirare giù l’archibugio della spalla, lo scaricare, l’ucciderlo, fu un battere di palpebre. Indi, preso un coltello, lo sparò, e trattogli il gozzo, prese da me commiato, e senza altro dirmi, vergognandosi del caso, andò a’ fatti suoi con esso gozzo in mano, come s’egli avesse avuto un tesoro; ed io liberato da una villanella che si querelava pel pollo suo, lo comperai due cotanti di quel che valea, per gratitudine del ricevuto benefizio.

LXVI.


Avventura di un Religioso che si mascherò per assistere inosservato al teatro.


Un buon religioso, udito l’universale concetto della commedia intitolata la Casa nuova, s’invogliò anch’egli di vederla l’ultima sera che fu rappresentata. Ma essendo uomo di coscienza sottile e nemico delle cose mondane, comechè comprendesse