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malaria 77

a dieci miglia in giro, sin dove si ode squillare la campanella fessa nella pianura che non finisce mai.

Però dov’è la malaria è terra benedetta da Dio. In giugno le spighe si coricano dal peso, e i solchi fumano quasi avessero sangue nelle vene appena c’entra il vomero in novembre. Allora bisogna pure che chi semina e chi raccoglie caschi come una spiga matura, perché il Signore ha detto: «Il pane che si mangia bisogna sudarlo». Come il sudore della febbre lascia qualcheduno stecchito sul pagliericcio di granoturco, e non c’è più bisogno di solfato né di decotto d’eucalipto, lo si carica sulla carretta del fieno, o attraverso il basto dell’asino, o su di una scala, come si può, con un sacco sulla faccia, e si va a deporlo alla chiesuola solitaria, sotto i fichidindia spinosi di cui nessuno perciò mangia i frutti. Le donne piangono in crocchio, e gli uomini stanno a guardare, fumando.

Così s’erano portato il camparo di Valsavoia, che si chiamava Massaro Croce, ed