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46 | novelle rusticane |
si ostinava a pretendere di voler morire nella casa dove era nato. Tanto, non ci veniva che una volta al sabato; ma quei sassi lo conoscevano, e se pensava al paese, nei pascoli del Carramone, non lo vedeva altrimenti che sotto forma di quell’usciolo rattoppato, e di quella finestra senza vetri. — Va bene, va bene, — rispondeva fra di sè il Reverendo. — Teste di villani! Bisogna farci entrare la ragione per forza.
E dalla finestra del Reverendo piovevano sul tetto di curatolo Arcangelo cocci di stoviglie, sassi, acqua sporca; e riducevano il cantuccio dov’era il letto peggio di un porcile. Se curatolo Arcangelo gridava, il Reverendo si metteva a gridare sul tetto, più forte di lui. — Che non poteva più tenerci un vaso di basilico sul davanzale? Non era padrone d’inaffiare i suoi fiori?
Curatolo Arcangelo aveva la testa dura peggio dei suoi montoni, e ricorse alla Giustizia. Vennero il giudice, il cancelliere, e don Licciu Papa, a vedere se il Reverendo era padrone d’inaffiare i suoi fiori, che quel