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pane nero 203

aveva una gran voglia di corrergli dietro, di mettersi a gridare, di strapparsi i capelli — non sapeva che cosa.

— Se mai — gli gridò curatolo Decu da lontano — corri fino alla mandra dei fichidindia, lassù, che c’è gente.

La mandra si vedeva tuttora sulla roccia, verso il cielo, per quel po’ di crepuscolo che si raccoglieva in cima ai monti, e straforava le macchie dei fichidindia. Lontan lontano, alla Lamia e verso la pianura, si udiva l’uggiolare dei cani auuuh!... auuuh!... auuuh!... che arrivava appena sin là, e metteva freddo nelle ossa. Le pecore allora si spingevano a scorazzare in frotta pel chiuso, prese da un terrore pazzo, quasi sentissero il lupo nelle vicinanze, e a quello squillare brusco di campanacci sembrava che le tenebre si accendessero di tanti occhi infuocati, tutto in giro. Poi le pecore si arrestavano immobili, strette fra di loro, col muso a terra, e il cane finiva d’abbaiare in un uggiolato lungo e lamentevole, seduto sulla coda.

— Se sapevo! — pensava Carmenio —