di dar pane all’orfanello di compare Nanni, per ingraziarsi la Provvidenza che doveva aiutarlo, doveva, se c’era giustizia in cielo. Che poteva farci se possedeva soltanto quel pezzetto di pascolo al Camemi, dove la malaria quagliava come la neve, e Carmenio aveva presa la terzana? Un dì che il ragazzo si sentiva le ossa rotte dalla febbre, e si lasciò vincere dal sonno a ridosso di un pietrone che stampava l’ombra nera sulla viottola polverosa, mentre i mosconi ronzavano nell’afa di maggio, le pecore irruppero nei seminati del vicino — un povero maggese grande quanto un fazzoletto da naso, che l’arsura s’era mezzo mangiato. Nonostante zio Cheli, rincantucciato sotto un tettuccio di frasche, lo guardava come la pupilla degli occhi suoi, quel seminato che gli costava tanti sudori, ed era la speranza dell’annata. Al vedere le pecore che scorazzavano. — Ah! che non ne mangiano pane, quei cristiani? — E Carmenio si svegliò alle busse ed ai calci dello zio Cheli, il quale si mise a correre come un pazzo dietro le pecore sban-